giovedì 1 novembre 2012

Rinaldo Cruzado: il Flautista del pallone



Autore: Gianmarco Pacione

Capita a volte di tornare bambini, anche solo per un istante. Il pensiero vola, indisturbato, quasi a ricercare quell’innocenza ormai dimenticata, forse rimossa. Succede improvvisamente, senza alcun preavviso, questione di attimi che hanno quello strano retrogusto di magia. Di norma è presente un fattore esterno che inevitabilmente ci rimanda a momenti passati, felici ed archiviati nella nostra memoria, che attendono pazientemente, da anni, di tornare a galla. 
Quello strano brivido, quel sorriso appena abbozzato, il tempo che si cristallizza, l’occhio di bue della nostra mente che punta su ciò che sta incantando la nostra vita, che la sta nobilitando per qualche istante. 
Tutte sensazioni comuni, ma allo stesso tempo causate da qualcosa di diverso per ognuno di noi, e causanti reazioni, pensieri, altrettanto differenti. 
Come ci consigliava Eduardo Galeano nel suo “Il libro degli abbracci” il ricordo non è altro che l’atto del ripassare dalle parti del cuore, quasi in una disperata ricerca di quell’immaginaria porticina d’entrata che, una volta aperta e varcata, l’innalzerebbe, privilegiato, tra i momenti che maggiormente hanno segnato la vita di un individuo. 
Nel mio caso particolare un giocatore riporta settimana dopo settimana la mente a tempi passati, facendomi  varcare quella soglia e regalandomi emozioni incredibili. Sto parlando di Paulo Rinaldo Dunrand Cruzado.

Nato a Lima il 21 settembre 1984; trequartista, con un mancino dolce, sempre pronto a disegnare linee inimmaginabili, mai pesante, sempre leggero e gioioso. 
Basta un attimo ed eccomi lì, in un solo istante, catapultato al fianco di mio nonno, una domenica mattina come tante altre, Piazza Brà. Una musica strana, ben diversa dalle Spice Girls che tanto dominavano le classifiche di Top of the Pops. Dei suoni che implicitamente ti forzano a chiudere gli occhi, ti spingono a vedere quei colori che fluidi dipingono immagini lontane nella tua testa, che sanno tanto di libertà, di unicità, di luoghi distanti, irraggiungibili se non con queste melodie.
Riapro  gli occhi, ed ecco quei colori rappresentati proprio davanti a me, in vesti che anche ai profani non sanno di ridicolo, ma di glorioso, d’antico. “Sono bravi questi flautisti peruviani” dice mio nonno.  
L’8 sulle spalle, quei lineamenti che non tradiscono la provenienza. Quella musica che, proprio come tanti anni fa, vedo riproposta sul campo. 

Folkloristico, unico, mai un movimento lontano dal concetto d’eleganza. Un pellegrino del calcio. Viaggia e molto, girando quasi tutto il globo. La Svizzera, l’Iran, l’Italia (Grasshopers, Esteghlal, Chievo), sempre passando però, tra una tappa e l’altra, dal suo amato Perù (Alianza, Sporting Cristal, Juan Aurich). Nella sua terra natia professa calcio anche con la blanquirroja. Quasi insensatamente, però, quella credibilità e quell’onnipotenza che riesce a dimostrare in suolo sudamericano, non l’accompagnano mai oltreoceano. La classica occasione della vita non capita mai a questo musicista del pallone. Ora a 28 anni si trova a stanziare nella panchina clivense da un lungo periodo, senza particolari demeriti, con particolare sfortuna. 
D'altronde si sa, c’è chi, partecipando al connubio d’arte e musica dei flautisti, dopo pochi istanti passa oltre, quasi a snobbare il mondo fatato che essi stanno componendo. Eppure loro continuano, certi di ciò che ci stanno donando,  sicuri della purezza dei loro gesti, della maestosità di ciò che rappresentano. Lo sguardo fiero, le Ande nel cuore, la tradizione di una civiltà discendente dall’Inca. Sapori di un qualcosa di ben diverso dalla commercialità e dalle mode del giorno d’oggi, qualcosa che solo chi sa veramente capire può realmente apprezzare. 
E allora per un attimo l’incantesimo del ricordo si rompe, e sono ben felice di lasciare la mano di mio nonno per tornare ad osservare Paulo Rinaldo Dunrand Cruzado accarezzare la palla, in quel prato verde dove lui è il flautista peruviano.

GP

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